Ben ritrovati a tutti. In questo mensile porteremo la nostra attenzione sull’ansia. Dedichiamo alcune righe per una prima analisi di essa e andiamo a creare un medesimo linguaggio per poterla capire quanto più a fondo possibile

Iniziamo col fare delle distinzioni in merito a specifici vissuti. Focalizziamo la paura come un’emozione che ha funzione adattiva e che si attiva di fronte ad una minaccia di pericolo inviando al cervello specifici segnali, così che possa essere pronto a reagire per la fuga o l’attacco.

Focalizziamo nell’ansia invece un’emozione che normalmente risulta meno intensa rispetto all’ansia ma più prolungata nel tempo. Essa comporta un insieme di reazioni cognitive, comportamentali e fisiologiche: palpitazioni, tachicardia, aumento della sudorazione, tremori fini o a grandi scosse, sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di vertigine, di instabilità, di “testa leggera” o di svenimento, brividi o vampate di calore, sensazioni di torpore o di formicolio, derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o “impazzire” e paura di morire. È importantissimo evidenziare che ognuno di questi sintomi deve essere valutato non in autonomia ma sempre accompagnato dall’occhio attento di uno specialista che possa leggerlo all’interno di un quadro clinico generale.

Differente è “l’attacco di panico” che si caratterizza come un episodio di improvvisa ed intensa paura o di un rapido accrescersi dell’ansia, in assenza di un’apparente stimolo ansiogeno. Il primo attacco di panico è solitamente inaspettato e improvviso e la persona a posteriori non si capacità dell’accaduto. Lo spavento è così enorme che genera spesso un ricorrere al pronto soccorso, i successivi attacchi diventano maggiormente prevedibili, e la persona arriva a sviluppare una paura dell’attacco stesso. Identifichiamo l’ansia e la paura come reazioni non funzionali (il loro stesso funzionamento arriva ad avere notevoli effetti collaterali) quando sono eccessive o persistenti (durano tipicamente 6 mesi o più) rispetto allo stadio di sviluppo.
Dedichiamo ora del tempo nel comprendere quanto diventi importante ascoltare la propria ansia. Fare ciò ci permette di andare maggiormente in contatto col nostro corpo e recepire tutti quei segnali che quotidianamente non vogliamo o non siamo in grado di ascoltare. Il “nodo alla gola” per esempio non diventa un qualcosa da temere, dal quale fuggire, bensì diventa un segnale che il nostro corpo ci invia per comunicarci qualcosa. Lavorare per eliminare il nodo alla gola affinché non si presenti più (perché chiaramente fastidioso) ci porta a lavorare ad un livello non totalmente utile perché solamente focalizzato sul problema. Diventa invece maggiormente proficuo utilizzare il nodo alla gola come trampolino di lancio per capire cosa sta accadendo nella nostra vita, per cui inevitabilmente il corpo reagisce con stati ansiosi. Quindi comprendere, anziché eliminare, vi porterà ad una visione globale di come state funzionando e quali meccanismi e dinamiche relazionali debbano essere modellate.
Il funzionamento mentale alla base dell’ansia può essere focalizzato nell’anticipare e vedere oltre quello che sta succedendo, detto in altre parole “viversi costantemente in un futuro

prossimo”. La cattiva abitudine di anticipare e rimanere con la mente nel futuro, crea una modalità di pensiero nella quale la persona ha costantemente un livello di attivazione fisiologica eccessiva. Andiamo mentalmente nel futuro per prevenire e poter “controllare ciò che accadrà”. Tutto questo avviene in modo disfunzionale, ossia siamo illusi di poter avere realmente il controllo, dimenticandoci che in realtà non sia così.

Conclusioni

L’ansia compare nelle sue differenti forme col fine di far sentire alla persona uno specifico malessere sino a quel momento non adeguatamente ascoltato.

Un ottimo approccio verso essa diviene quello di considerarla e capirne la sua esistenza senza mettersi l’obiettivo di eliminarla. Fare ciò infatti evidenzia il fondamentale approccio che non si accetta e non si vuole con sè l’ansia. Mantenere un approccio dominante verso l’ansia accentuerà la credenza che possiamo controllarla a nostro piacimento.

Impariamo a vedere l’ansia come se fosse una persona, parliamoci, consideriamola e viviamo consultandoci sempre con lei. Se arriviamo ad avere il bisogno di eliminarla, questo potrebbe significare che per svariato tempo l’abbiamo trascurata, non ascoltata e ora giustamente si eroga il diritto di farsi sentire di più in una modalità da noi sperimentata come disfunzionale. Impariamo a prevenire e a non utilizzare il nostro corpo più di quanto esso possa fare.